Il coraggio di Francesca Albanese
Non ha mai smesso di denunciare, dalla sua posizione di relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, l’orrore a cui il mondo sta assistendo.
Francesca Albanese è un esempio di coraggio. Dall’8 ottobre — dall’inizio del genocidio — non ha mai smesso di denunciare, dalla sua posizione di relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, l’orrore a cui il mondo intero sta assistendo.
Se oggi, in Italia, qualcosa si muove, se il vento sta cambiando, è anche grazie a lei. Francesca non ha mai chinato la testa, rischiando di perdere il suo incarico per essersi messa di traverso contro uno degli Stati più potenti del pianeta.
Ieri ha pubblicato un nuovo rapporto. Un documento che inchioda Israele alle proprie responsabilità, parlando di un passaggio netto: da una “Economia di occupazione” a una “Economia di genocidio”.
Risultato? Secondo una lettera ottenuta dal Washington Free Beacon, l'amministrazione Trump ha chiesto alle Nazioni Unite di rimuovere Francesca Albanese, accusandola di "violento antisemitismo e sostegno al terrorismo".
È sempre la stessa storia: quando non hai argomenti per controbattere alle atrocità commesse da un governo criminale e terrorista come quello israeliano, l’unica arma che ti rimane è sventolare l’accusa di antisemitismo.
Antonio Tajani, nel 2024, attaccò Francesca Albanese con queste parole: “Non condivido le parole di Francesca Albanese perché l'attacco di Hamas è stato un attacco militare che puntava alla caccia all'ebreo e che ha avuto risvolti disumani con violenze e profanazioni di cadaveri, cose mai viste. Non è esatto quello che dice la signora Albanese e comprendo la reazione d'Israele.”
E da quelle dichiarazioni di Tajani, il genocidio è andato avanti. Israele ha continuato a massacrare bambini: prima con le bombe, poi con la fame.
Francesca Albanese è un orgoglio italiano, un orgoglio nazionale. Le riconoscerò sempre il merito di essersi schierata dalla parte giusta della storia, in uno dei momenti più bui. Non ha preso posizione l’altro ieri, quando farlo è diventato comodo, ma lo ha fatto il 6 ottobre, lo ha fatto l’8 ottobre. Lo ha fatto quando era tremendamente difficile. Come l’ho fatto io, come l’hanno fatto tutti quelli che il 28 giugno hanno riempito Piazza di Porta San Paolo a Roma, sventolando le bandiere palestinesi. In quella piazza c’era anche Francesca, da remoto.
Nel nuovo rapporto, Albanese mette nero su bianco le responsabilità di aziende che hanno tratto profitto dall’economia israeliana dell’occupazione illegale, dell’apartheid e oggi del genocidio. Il colonialismo di insediamento è sempre stato, prima di tutto, una macchina di profitto: prendersi la terra e espellere chi la abita. È successo in Palestina, con aziende che hanno reso possibile la sostituzione forzata della popolazione araba, portata avanti dal sionismo fin dal Jewish National Fund del 1901, fino alla Nakba e oltre.
Tra il 2020 e il 2024 Israele è stato l’ottavo esportatore di armi al mondo. Due dei suoi giganti, Elbit Systems e Israel Aerospace Industries, figurano tra i primi 50 produttori globali. Per loro, il genocidio è un business: la spesa militare israeliana è salita del 65% in un solo anno.
Francesca Albanese, nel suo rapporto coraggiosissimo, fa nomi e cognomi. Elenca Elbit Systems, Israel Aerospace Industries, Rafael Advanced Defense Systems, Lockheed Martin, Boeing, General Dynamics, Leonardo, Airbus.
Ma anche giganti come Google, Amazon, IBM, HP, Microsoft, Caterpillar, Volvo, Hyundai Heavy Industries, RADA, Netafim, Orbia Advance Corporation. Colossi che muovono miliardi, e che solo chi non ha paura può inchiodare alle proprie responsabilità.
Scrive nel rapporto: “Facendo luce sull’economia politica di un’occupazione diventata genocida, il rapporto rivela come l’occupazione eterna sia diventata il banco di prova ideale per i produttori di armi e le grandi aziende tecnologiche… mentre investitori e istituzioni pubbliche e private ne traggono profitto liberamente... Troppe influenti entità aziendali restano indissolubilmente legate, dal punto di vista finanziario, all'apartheid e al militarismo di Israele.”
Ascoltiamola e difendiamola dagli ignobili attacchi che subisce per avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Grazie sempre per ogni parola a Francesca Albanese
Francesca Albanese è in primo luogo una studiosa seria e deontologicamente corretta. La cultura profonda non ha padroni.